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“Profe, si fermi. In Leopardi, il tema della gioia? Ma se si è lamentato tutta la vita?”

 

“Apri bene le orecchie. Cosa ti ricorda una fanciulla che il giorno precedente la festa si prepara a ornare il suo abito domenicale di fiori appena colti (e lascia perdere per un attimo che siano solo un simbolo, poiché sono fiori che crescono in momenti diversi dellanno… per un attimo pensa solo ai fiori e al gesto); cosa ti ricorda una nonnina che si commuove ripensando a se stessa sana e snella? E che dire di fanciulli che gracidano in una piazza, capaci di fare un rumore che il poeta coglie lieto? Non è forse gioia?! E come ne parla? Come potrebbe farlo solo il poeta moderno che osserva la commessina aggiustarsi le calze o il fiocco prima di perdersi col moroso, o guardando fanciulli che non avendo di meglio si gettano sugli skateboard per strade malconce e volgari. E ancora, guardando lanziana che ricorda quando in balera tutti si sgomitavano per i suoi fianchi armoniosi. Non è cambiato niente da allora, caro Bevilacqua. Non è cambiato niente. E non è forse questo il modo di saper cogliere la gioia, dove può essere, senza orpelli? Non è ciò che per altri versi ha saputo fare Sandro Penna più di un secolo dopo? A cosa credi che stia pensando Leopardi quando dice: “… la dolce lode or delle negre chiome, / or degli sguardi innamorati e schivi”? Lo fa certo in forma negativa, ma per negare quella seduzione che viene da una chioma lucida e giovane deve pur averla provata nel profondo del suo cuore. “Mirava il ciel sereno, / le vie dorate e gli orti / e quinci il mar, da lungi e quindi il monte. / Lingua mortal non dice: / quel ch’io sentiva in seno”. Eccolo il Leopardi felice, il Leopardi moderno, il Leopardi comune. Quelli del suo tempo a incensare e patria e manifesti e culti e glorie, lui, il Giacomo: come aspettare la domenica, le galline a razzolare nelle pozzanghere, una Silvia, una qualsiasi, tanto son tutte uguali quando sognano, che canta: “io ti darò di più…” Gli altri a invocare agghiaccianti imprese contro lo straniero prevaricatore dei nostri busti e delle nostre tele; gli austriaci fatti passare né più né meno del nostro Andreotti, come tiranno-oggetto. E lui, il tenero Buccio che da filosofo sconsiderato invita i fanciulli della sua epoca a godere. Ghet capit, di cosa sta parlando Leopardi?”

 

 

(dal mio Laureato a salve, scritto fra il 1989/91, pp. 79/80. Doveva uscire a fine ’91 per Mondadori, poi Aldo Busi ha fatto di tutto: prima per garantirne l’uscita, poi per rimangiarsi la parola data. Che uomo!)

3 pensieri su “Il Leopardi Felice

  1. Ho scritto anch’io un articolo (che è molto più brutto di questo tuo pezzo) per controbattere ai pregiudizi su Leopardi. Quello sul libro di D’Avenia che, ribadisco, è molto bello.
    Non posso non essere d’accordo con te.
    Un abbraccio 😊

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