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La Meraviglia, dice Ilaria Gasperi a p. 118 che “La meraviglia non può essere indotta, né simulata; ma è cosa che capita, e deve cogliere di sorpresa, per essere vera- ed è un’emozione importante da preservare, proprio perché ci riporta a uno stadio quasi infantile. Ci vuole vulnerabili in un modo gioioso…( c. m.)”; e questo lo dice dopo un lungo prologo divertente sulla differenza fra i cellulari moderni che ci anticipano tutto e i telefoni fissi che squillano e non sai chi ti sta cercando (ricordo il papà di un amico di Salsomaggiore: avevano messo il telefono fisso alla parete: quando squillava, quell’uomo si avvicinava a quell’aggeggio, a quel trillo: lo guardava stupito: non alzava mai la cornetta: non parlo con chi non vedo in faccia, diceva lui, uomo di un’altra epoca, di un’altra vita, di un’altra storia)…
…e poi dice che senza meraviglia non ci sarebbe filosofia. Probabile. Secondo me non ci sarebbero stati né Baudealire, né Poe, né la Dickinson, né la Alda Merini…insomma saremmo rimasti senza filosofia, ma abbiamo avuto Gabriella, garofano e cannella, abbiamo avuto Domani nella battaglia pensa a me…e crepa, abbiamo avuto Donna Flor che esclama: “Vadinho!…non te ne importa che io ti metta le corna con Teodoro?” “Corna?…No, non ci possono essere corna. Io e lui siamo pari, tesoro mio, abbiamo diritto tutti e due, tutti e due ti abbiamo sposata col prete e col giudice. Solo che lui ti consuma poco, è uno sciocco…e non ho che amore da darti…impuro, sballato e alla rovescia, ma ardente…le altre cose te le dà lui…Lui è il tuo volto mattutino, io sono la tua notte…”.
Ecco abbiamo le cose della vita, spiegate dalla vita delle cose: insomma la letteratura. Tutto ciò che ci può rinascere o spezzare…
La Felicità. Via, qualcosa di breve, anche perché condivido tutto quello che dice Ilaria: strano, ma vero, anche quando si ‘improvvisa’ un grandissimo Prévert: “…ho riconosciuto la felicità/ dal rumore che ha fatto andando via”…Sì, fa così la felicità: rimanere noi stessi, anche quando lei sparisce per un po’ o per sempre. Per sempre? Mah, per uno come me che non crede alla felicità ma solo all’allegria di cui parlava Pier Paolo Pasolini, dico che la felicità può essere al massimo considerata un viaggio fatto in compagnia della fedeltà (che è anche l’unica che può esistere, l’altra si chiama devozione) a se stessi. Fine
La Gratitudine. E qui Ilaria Gasperi chiama in causa la definizione di Cicerone: “…la madre di tutte le virtù è la gratitudine”… e prosegue con Adorno: “La felicità è come la verità: non la si ha, ci si è…L’unico rapporto fra coscienza e felicità è la gratitudine…” che ci libera, e qui torna Ilaria: “…dalle catene del debito, dalla schiavitù dei conteggi, dei calcoli. La gratitudine ci spinge non all’aritmetica del prendere e del dare, ma verso la persona che ci ha offerto il suo aiuto, o viceversa, chi abbiamo aiutato”.
Poi sorge un dubbio: e quando ci sembra che non meritiamo nulla? Quando buttiamo lì dei desideri e non torna niente? E qui la filosofa Ilaria sembra andare, apparentemente, in crisi. Sempre pensando ai desideri, o al benessere che può arrivare da un’istanza qualsiasi, afferma: “…e se poi nessuno avesse colto? O meglio: se, pur sentendomelo esprimere, nessuno avesse voluto esaudire, perché nulla mi meritavo?…meglio rimanere un enigma”. (Ho condensato un poco le parole di Ilaria).
Allora che resta da dire sulla gratitudine? Che la gratitudine è di chi non scorda nulla, di chi sa che la memoria ci tiene legati a tutto, sia a ciò che ci piace sia a quel che ci dà fastidio. A quel che abbiamo e che abbiamo paura di perdere, ecc…Magari fare come George Perec, che con i suoi Mi ricordo, invitava chiunque a tenersi stretti i propri, spogliati di qualsiasi intenzionalità interpretativa, ma solo come scrigno di ciò che siamo stati, e quindi fuggire, paradossalmente, dalla dimenticanza.
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