FOSSE PURE CHE ME LO COMPRI SOLO TU

E ci vorrei la Beatrice Salvioni come editor

(così che mi dice dove sono ridicolo)

E ci vorrei accanto la Anilda Ibrahimi

(che  fa dondolare i suoi tacchi a spillo, così mi distraggo

dai paroloni scemi)

E ci vorrei pure la Postorino

(con mi spiaccica davanati uno specchio e mi dice,

Stai attento ché questo sei)

E Renato Varani come editore

(e chi cazzo è? Lo so io, e tanto basta)

Poi ci vorrei…eh…la postfazione di Philip Roth

Quella di Milan Kundera

Quella di de Sade

Quella di Amado e Marquez e Marias e…e  non la finiamo qui…

(così che mi ricordo cosa ricordare quando parlo d’amore,

di sesso, di battaglia, di vincitori e di sconfitti, di magia, cucina e danza,

e della nostra voce che nulla conta dentro altre 8miliardi

E il problema dove sta?

Che dovrei scriverla quella roba che meriti

Beatrice come editor

Anilda coi soui tacchi a spillo

Rosella che mi pizzica ovunque, così mi sveglio

Ecc…

E MI AVEVI GIA’ PERDONATO TUTTO

Di te io ricorderò la collina

E il laghetto dove non ti ho mai

Accompagnata

Di me ricorderai il mare

Dove non ti ho mai portata

E così tu avrai pietà del mio essere

Nessuno in qualsiasi posto

E così io non smetterò di chiederti

Di perdonarmi

A te che mi avevi già perdonato tutto

Dimenticato ogni spreco

Come fanno gli innocenti

Sempre

Che resterà di noi? Niente!

Come niente? Allora, al tempo. La domanda mi si è ripresentata dopo aver letto il bellissimo pezzo di Aureliano (Buendia?) Tempera sulla poesia di Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, che è del 22 marzo 1950, trovata, insieme ad altre, “…in una cartelletta nella scrivania del suo ufficio nella casa editrice Einaudi” (così si legge nella sesta ed. del 1974).

Dicevo che non resta niente. Vero. Che è rimasto a Hemingway di sé stesso l’attimo dopo che si è suicidato? A lui niente. Come a tutti quelli che se ne vanno…e in un certo senso, non resta niente nemmeno poco prima di andarsene (altrimenti perché andaresene?)…e bene lo spiega il 25 marzo, Cesare Pavese negli ultimi 4 versi, in You, wind of March…

“La speranza si torce,

e ti attende ti chiama.

Sei la vita e la morte.

Il tuo passo è leggero”

(p. 31)

Eh, fine! Ho provato a raccontarla così due anni fa, e le avevo dato questo titolo: Il mite e la cagna…

Sono appena venuta via

da un letto freddo, sai?

Erano tutti li intorno a chiedersi

perché.

Era malato, dicevano piangendo, è vero

era grave, ma poteva

ancora cavarsela.

Me ne sono venuta via prendendo

qualche appunto, niente di più

dovevo correre da te.

La cagna che mi stava davanti era

la dott.ssa Morte, e diceva

di non aver tempo.

Io le ho parlato della mia vecchiaia,

pardon, c’ho provato e lei

ha detto di essere ancora più stanca:

tira fuori altre carte, ha detto,

se no vinco io.

Ho aperto un cassetto, ma l’ho subito

richiuso, lì c’erano le mie parole

le ho chiesto di accompagnarmi, di farmi

da hostess, di là, dove ho la libreria

e s’è messa a ridere di gusto:

vuoi ammansirmi con qualche pagina ben scritta?

Eppure m’ha messo la mano sulla spalla

e s’è congratulata per il mio ottimismo:

leggi ancora, ha detto, davvero ancora leggi?

Ancora ti ostini a farti narrare la vita?

Vai a riaprire quel cassetto, lo disse ridendo:

non è detto che quelle parole ti salveranno,

ma…ma è lì che sta la tua traccia

(p.s.:Fine, poiché comunque la guardi, la vita si riduce a due percorsi: come compito o come ricerca. E in entrambi i casi a te non resta niente: e quel che raccoglieranno gli altri? Magari non raccolgono niente, magari si voltano dall’altra parte. Magari sono fatti di un’ altra pasta. Oppure il destino li ha messi altrove i loro obiettivi.

Forse sta tutto qui: il bilancio finale è diverso da zero, ed è allora che decidi di andartene: non ti hanno salvato né i compitini fatti bene, né la determinazione di trovare qualcosa che fosse davvero tua, che ti appartenesse come realtà, come creazione, come visione o epifania…vale per tutti sta roba? Per i suicidi, per gli sconfitti, per i perdenti…e per i potenti? A quelli è bastata la loro violenza a gratificarli…altre tipologie? Sì, ad esempio quella fatta da Sciascia…)

Twain. Mannino. Postorino

Se è vero che l’Estetica è la ricerca della bellezza, e verità e bellezza sono il dna della vita dignitosa…allora ha ragione la Postorino quando dice, e io sottoscrivo, che dio non esiste (va beh, era ovvio già da secoli): “…come poteva inventare la merda, uno che aveva il gusto per la bellezza…” (in sintesi)…va da sé che con tutti i poteri che aveva poteva trovare una soluzione, non dico ‘celestiale’, ma almeno alla Mannino: “…cambiassero l’odore…”

E poi quando scrivevo cose che mi sembravano belle tu non c’eri. Era il tempo in cui avevo il cuore caldo. Era il tempo in cui sapevo rispondere ad ogni domanda: e non c’eri, cazzo (se me le fanno adesso, come direbbe Mark Twain, sarei costretto a inventarmi chissà quali bugie…e non è che sta proprio bene)…Non potevi arrivare prima? Sì, prima, quando ancora sapevo fare miracoli, e, non ci crederai, ero meno pasticcione del Padreterno. Ed era tutto in ordine: in ordine col sole pieno,  in ordine con la pioggia ogni tanto, in ordine anche se avevo poche certezze ma erano incrollabili e soprattutto, lo giuro, la mia voce la si riconosceva fra le altre. Possedevo addirittura due patrimoni che nessun fisco morale ed estetico si sarebbero permessi di intaccare. Ma non sapevo che farmene: non c’eri. Eri la bellezza di un altro, eri l’incanto di altri e di nessuno. Non c’ero io, cazzo!!! Dici che sono presuntuoso? No, i miracoli li facevo davvero: non ho mai costruito lager morali: avevo il corpo docile, assaggiavo la vita e mi sarei limitato ad amare te…col tempo è finito tutto a puttane: sciupati i patrimoni ho accumulato solo master di retorica (sai no, come fanno gli aguzzini, ecco io prestavo affetto e tenerezze a costi dolorosissimi)…e che applausi… ma tu non eri mai lì a sorridermi e a portarmi via dai miei prigioni

(p.s.: e questa cosa l’ho scrittta da Zingaro o da Disperato? Ah, saperlo!)

(sia ben chiaro che i termini vengono usati come metafora, in modo del tutto ‘leggero’, non ci si riferisce ad una etnia precisa – quella derivante dall’antica India, né al suo vecchio significato spregiativo di persona sporca, sudicia, malvivente…infatti col tempo zingaro ha asunnto anche una connotazione positiva – e, quando mi riferisco al secondo termine, non sto pensando a un particolare insieme di sintomi che possono far pensare a una sindrome patologica)

Semplificando, uso questi termini (zingaro e disperato) come metafore di stili di vita…infatti qualcuno, a volte, viene apostrofato come zingaro, e quindi è un complimento, per la sua vita stravagante, diversa, ricca di esperienze e curiosità appaganti…altre volte invece con il secondo termine ci si sta riferendo a chi fa o cerca di fare le stesse cose, ma…quelle incursioni nell’ignoto sono frutto di insoddisfazione, altre volte di frustrazione, oppure di dolore, e quindi conduce una vita per niente appagante…ecco, non sono proprio la stessa cosa…

Lo zingaro non ha radici, ma nemmeno le cerca, il disperato è alla affannosa ricerca di punti fermi. Il primo ha già una sua vita e da questa riceve; il disperato è come se non avesse ancora ricevuto nulla, o non abbastanza…

LE NUOVE DOMANDE DI UGO FOSCOLO

Perché a Dachau Ignazio La Russa non regalava rose rosse

Agli ebrei?

Ma lui non c’è mai stato a Dachau!

Sicuro?

È vero che gli ebrei non dovrebbero accettare fiori dai fasci

E che quindi non è dignitoso farlo?

Perché quando Rino Gaetano guardava il cielo

Diceva che era sempre più blu?

Perché tutti dicono che la Meloni

Eh, sì, quella Meloni lì…sì, un po’ pende

Pende di là, di là dove?

Boh, comunque quando cade stende il braccio

A mano tesa. L’avete vista anche voi?

È vero che George Orwell ha detto che i comunisti insegneranno

Nei secoli dei secoli a miliardi di ultimi che democrazia

È il modo educato per non dire te lo mettiamo nel culo?

No? Non lo ha nemmeno pensato?

È più facile smettere di bere fumare di fare cazzate

Uccidere o smettere di vivere?

Perché quando fai un complimento a una femmina

Per le sue gambe

I suoi piedini le tette il sorriso

Lei d’istinto si guarda le gambe i piedini le tette

Corre allo specchio e ti dice no non è vero

Che stavo sorridendo?

Perché gesù camminava sulle acque invece di fare

Come la Pellegrini?

Perché con Berlinguer Enrico sono scomparsi gli operai

E con il Pd pure l’intelligenza?

Oh, je suis Schlein Ellì voleva pure cambiare l’Asse

Terrestre e finirà come Serracchiani-Lecca-Lecca?

Perché continuo a contrarre debiti di denaro se poi

Sono più svalutanti quelli letterari?

C’ho messo 4 romanzi a innamorarmi della Di Pietroantonio

5 per innamorami della Ibraihimi e 3 per la Postorino

E tutto in pochi giorni e le vorrei tutte

E non sono nemmeno le sole ma le ultime che ho letto

Vuoi vedere che amo le donne come Truffaut?

O forse sono psicolabile?

Psicolabile è un modo elegante per dire figliodiputtana?

È vero che solo dopo aver messo le mani nella merda

C’è spazio per il candore letterario appena un pelo

Sotto la banalità della vita?

Per la banalità è sufficiente non sporcarsele?

E alla fine, quanto è necessario diventare servi del vocabolario

Visto che tentano sempre di modificarlo aggiustarlo manipolarlo e

Pure ci riescono

Per sentirsi artisti?

(p.s.: Perché, altra domanda, ho scelto Foscolo invece che…facciamo Francesco Maria Molza? Beh, perché Foscolo lo conosco meglio: come me ama solo tre cose: la figa, la poesia, il denaro (ops, volevo dire la politica). E non è che sono partito sgommando – come una di quelle macchine da ricchi – per l’amore: ci sono arrivato col tempo, eh, al tempo avevo solo 19anni. Sono partito come tutti: con la lingua a penzoloni (si chiama sesso) poi mi hanno detto che non stava bene e dovevo metterci un, come dire, un rinforzino: appunto, l’amore. E così a letto ci si trovava sempre in tre: io, Lei, l’amore. E allora mi sono chiesto: ma in tre non è da depravati? Eh, come faceva Ugo! Ugo, chi?)

ROSELLA POSTORINO, BASTA E AVANZA…

Va scritto raccontato chiamato

Per nome

E vissuto se ci riesci

Mica va spiegato

Non è un saggio accademico

La donna che parla d’amore

Che parla all’amore e lo guarda

Lo getta dalla finestra come si fa con le chiavi

Della vita

O lo perde sulle scale

Poi lo sposta lo veste e lo spoglia

Gli dà pure da mangiare

Lo spaventa e ne ha soggezione

Quando va a capo: a capo di cosa?

Non lo so ma so che

Quando va a capo se lo schiaccia

Addosso, se lo sente fra le gambe

Ma non usa niente per proteggersi

Dal dolore che le lascerà o

Dalla luce che solo lei può

Spegnere e poi riaccendere

(p.s.: mi sono chiesto se esagero. No, mi sono risposto. Nessuno ormai può creare un mondo quasi completo come facevano nell’Ottocento…come facevano Hugo, Balzac, Tolstoij, ecc…insomma quelli che ti riempivano di domande con i loro romanzi, domande complete, domande cioè che dettavano un poco il perimetro del Pianeta-Corpo-Sentimenti-Bontà-Cattiveria…e così ti costringevano a cercare i confini della vita…oggi chi ha qualcosa da dire, è vero che non ti lascia in pace, ma ti tratta con indulgenza, anche quando va giù crudo – come la Postorino e altre, che scrivono da dio – , anche se poi non ti senti completamente libero perché qualcosa hai trovato, a qualcosa hai risposto…e se hai la risposta per vivere bene, direbbe Postorino, non c’è bisogno di altra eccellenza…e comunque Marlonbrando ne sarebbe felice…)

ARMATE FINO AI DENTI

Mi serve una folla di donne

Per essere sicuro…

No, sicuro è davvero troppo

Basterebbe dire per provarci almeno

Ad amare

Poi sei arrivata tu

O così mi è sembrato

Lo dico a spanne perché adesso bene non ricordo dov’ero

E forse sei arrivata davvero

E mi è sembrato di ridere di gusto

Avevi le ciabatte mentre io ti aspettavo

Con i tacchi a spillo e il reggicalze

Scrivo così perché sono uno sbruffone?

No, ma le donne sono tante e non me le immagino proprio

Come un esercito con gli anfibi

Armate fino ai denti di erotismo collera innocenza

Come se fossi ancora a pagina 95

Di quello che mette giù la Postorino

O forse a pagina 113 quando dice e non dice

Non vuoi tutte queste labbra queste gambe queste tette e

Mi ficchi le unghie fra i capelli

E non vuoi vivere perché poi muori?

Scemo, guarda che lì c’arrivi sputato e non sai nemmeno quando

Scemo!!!

(p.s.: il libro citato è del 2013, Il corpo docile…cazzo, un capolavoro, come quelli di Anilda Ibrahimi, ma mica le posso citare tutte, quelle che scrivono bellezza…ma questa è una poesia o una recensione? Eh mica lo so…non so se per pigrizia estetica o tolleranza emotiva, ma mi sono concesso da solo una certa indulgenza, così da allontanarmi dalla soffocante ebbrezza di quelle che…sai, no, sì quelle che ti mettono il caos addosso…)

E POI C’E’…

E poi c’è quest’ultima storia

Che non servirà

Che non servirà né come inchino

Davanti a un capolavoro

Né come riscatto alle domande fatte

Alla polvere…

Sì, c’è questa storia che ha preso

In fretta il testimone da Truffaut, tanto da infliggersi ferite

Ovunque e ovunque lasciarne…

E che fa questa storia?

Dai non farla più larga del perimetro dei nosti cazzi

Fa un po’ come fanno la ricchezza

E la miseria della Specie…

E allora, racconta, perché non servirà?

Non c’è abbastanza tempo…

Ce ne dobbiamo andare (io e la storia…dupalle)

Sì, certo, avrei voglia di raccontare quel che è

Già stato detto, incensato, cremato a memoria…

C’è questa storia che è la mia, credo

E che non continuerà nella vostra

C’è questa storia talmente uguale che Buck

Per delicatezza direbbe: “Vieni scemo, che la pago io

La bottiglia”…

C’è una storia, infine, che sorridendo maligna, chiede:

Anche con quella era l’ennesimo omaggio alla bellezza?

In fondo che altro è l’Estetica se non l’ultimo

Rifugio, non sempre elegante, dell’anima…